Susa
Val di Susa in fiamme.
Una emergenza forse aggravata da scelte politiche dissennate

La Val Susa brucia da giorni. Centinaia di ettari in fiamme, decine di persone fatte evacuare. Siccità, forte vento e in questo caso, pare, la mano umana hanno innescato il finimondo. Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, chiede lo stato d’emergenza sperando ragionevolmente con ciò di sbloccare la situazione.
In effetti senza stato d’emergenza le giornate dei volontari di Protezione Civile non sono riconosciute, col risultato che chi normalmente lavora non ha giustificata (e pagata) la sua assenza dal lavoro. Senza stato d’emergenza quindi si fa Protezione Civile solo il fine settimana o nei giorni feriali con i pensionati (che però, giustamente, sopra una certa età non possono prestare servizio antincendio boschivo).
Ma il fuoco non bada molto al nostro calendario, per lui un giorno vale l’altro.
Si aggiunga al problema della mancanza di un numero adeguato di personale volontario operativo il fatto che questi stessi volontari devono essere diretti da personale professionale e qualificato: generalmente era la Guardia Forestale il corpo abilitato alla gestione dell’antincendio boschivo. Già, dico “era” perché col decreto Madia il Pd ha rottamato proprio la Forestale, sciogliendola nei Carabinieri (si salvano da questa demenziale trovata le Regioni a statuto speciale che mantengono il loro Corpo Forestale). Lo scioglimento è ancora in corso e francamente ignoriamo se la guerra per l’assestamento e le attribuzioni delle cariche lascerà sul tappeto un minimo dell’operatività precedente.
Ci sono i Vigili del Fuoco che intervenivano in questi casi generalmente in funzione di supporto ed ora sono passati al timone di comando. Considerato che nel frattempo devono occuparsi anche di altro, che l’organico non è aumentato e che siamo abituati a pensarli come eroi non possiamo tuttavia pretendere che diventino supereroi…
Poi c’è la questione del parco aereo anti incendio. In un Paese che va a fuoco ogni anno contemporaneamente in più punti in diverse regioni abbiamo a disposizione 28 i mezzi aerei anti incendio boschivo: 16 Canadair CL415, 4 elicotteri Erickson S64 più altri 8 piccoli elicotteri del Comparto Difesa e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Ogni regione dispone poi il costosissimo noleggio da ditte private di piccoli elicotteri ad integrazione del parco aereo nazionale (sia la gestione dei Canadair affidata ad una ditta privata che gli appalti regionali sono da luglio scorso sotto la lente dell’antitrust).
Di tutti questi mezzi, quelli potenzialmente risolutivi sono solo 20 ossia i 16 Canadair e i quattro S-64 (in realtà tre più uno tenuto a riserva).
Di questi gli stessi Canadair non sono molto funzionali all’uso in montagna: in un contesto di canaloni, valli e pendii (ossia in buona parte del territorio del nostro Paese) il loro utilizzo diventa molto rischioso se non in cresta. Ecco allora che i grossi elicotteri S64, più agili, con una capacità quasi doppia rispetto ai Canadair e con la possibilità di scaricare “chirurgicamente” attraverso un cannone, sono i mezzi più adeguati e potenzialmente risolutivi se impiegati da subito, ma per l’appunto sono solo tre. Decisamente insufficienti.
Nonostante gli sforzi e la generosità dei volontari e del personale a terra, il risultato di tutte le inadeguatezze di cui sopra è che gli incendi boschivi più estesi possono essere magari contenuti ma alla fine vincono sempre la battaglia, estinguendosi solo col sopraggiungere di eventuali precipitazioni. Fra l’altro gli incendi quasi mai arrivano da soli ma si palesano in compagnia: già da alcuni giorni anche nel varesotto sono divampati roghi importanti…Si estenderanno come in val Susa? Speriamo nella pioggia, anche per le polveri sottili in città.
Dopo il lavoro di prevenzione, il grande assente in tutto questo mare di irrazionalità è proprio l’Esercito che un tempo era perfettamente in grado di offrire un contributo determinante con mezzi, uomini e capacità logistiche alle situazioni d’emergenza sul nostro territorio (evidentemente non solo incendi). Quasi vano risulta invocarne oggi l’intervento: lo abbiamo voluto professionalizzare per trasformarlo in un moderno e costosissimo corpo di spedizione neocoloniale impegnato all’estero in una non meglio precisata “difesa” della patria e dell’interesse nazionale. La difesa dalle vere minacce alla sicurezza dei cittadini (terremoti, incendi, dissesto idrogeologico, per citarne alcuni) non rientra tra le sue priorità.
Gregorio Piccin
