intervista

Scellerato l’invio all’Ucraina di armi all’uranio impoverito

IL LIMITE IGNOTO.  Intervista al veterano Vincenzo Riccio presidente dell’Associazione nazionale delle vittime e all’avvocato Angelo Fiore Tartaglia

L’uranio impoverito è uno scarto delle centrali nucleari trasferito anche all’uso militare. È un grande business: le multinazionali dell’energia nucleare risparmiano milioni di dollari per lo stoccaggio sicuro passandolo alle multinazionali delle armi che lo utilizzano come «materia prima» praticamente gratuita per produrre le munizioni anticarro. Gli eserciti di alcuni Paesi acquistano munizioni così prodotte e poi chiudono il ciclo dello smaltimento criminale utilizzandole nei teatri di guerra. Un affare, che porta con sé una devastante pandemia tumorale che colpisce sia civili che militari.

L’annunciata intenzione da parte del Regno Unito di fornire munizioni all’uranio impoverito alle forze armate ucraine ha scatenato un fuoco di paglia mediatico che però sorvola sulle responsabilità dirette degli alti vertici militari e del ministero competente del nostro Paese che volta le spalle alle vittime di questo metallo pesante. Abbiamo raggiunto due persone che da vent’anni si occupano in maniera sistematica della questione: Vincenzo Riccio, veterano e presidente dell’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito e Angelo Fiore Tartaglia, legale delle vittime e consulente giuridico dell’associazione.

Presidente Riccio come giudica la scelta del governo britannico di inviare in Ucraina munizioni all’uranio impoverito?
È una scelta sbalorditiva che ci amareggia. Noi abbiamo provato sulla nostra pelle pericolosità e conseguenze che l’uso di questo munizionamento provoca.

Quali le conseguenze?
Sappiamo purtroppo che quei territori già duramente provati da oltre un anno di guerra in cui sono stati usati già diversi tipi di armamenti saranno irrimediabilmente contaminati dalle nano polveri frutto delle esplosioni di proiettili all’uranio impoverito, ammesso che non siano già stati usati dalle forze armate russe. Le conseguenze saranno pagate dalla popolazione civile e dai militari che stanno operando sul terreno, soprattutto negli anni a venire com’è successo in Bosnia, Serbia, Iraq e negli altri teatri di guerra dove queste armi sono state usate negli ultimi 30 anni e dove l’incidenza dei tumori è salita a livelli altissimi.

Anche i media mainstream scoprono questa pericolosità…
Leggere in questi giorni i titoli dei maggiori quotidiani italiani ci ha amareggiato molto, per più di vent’anni abbiamo lanciato l’allarme sulla pericolosità di questi armamenti ma tranne rarissime eccezioni siamo stati quasi sempre ignorati, anzi le poche volte che il mainstream ha dedicato qualche trafiletto al problema è stato quasi sempre per avvalorare le tesi negazioniste del ministero della Difesa.

È un cambio di passo?
In realtà si sta strumentalizzando la notizia perché non si ha il coraggio di fare una battaglia seria in parlamento per fermare l’invio di queste terribili armi e metterle al bando. Diversi Paesi Nato continuano ad utilizzarle. La stragrande maggioranza del parlamento ha continuato a votare a favore dell’invio di armi in Ucraina. Purtroppo siamo convinti che finita la buriana la questione sparirà dai giornali e continuerà a rimbalzare sul muro di gomma eretto dal ministero della Difesa. Spero di sbagliarmi.

Avvocato Tartaglia, il ministero ella Difesa ha perso in centinaia di sentenze di fronte alle vittime che lei ha rappresentato nei tribunali italiani…
È stato un percorso molto difficile che è durato venti anni. È stato necessario far formare una giurisprudenza del tutto nuova che assumesse il nesso causale tra insorgenza di gravi patologie tumorali ed esposizione all’uranio impoverito. Oggi grazie a questa giurisprudenza quando nelle cause di servizio si dimostra l’esposizione del militare ai fattori di rischio fra cui l’uranio impoverito e le nanoparticelle di metalli pesanti scatta l’inversione dell’onere della prova. Nel senso che se il ministero non vuole riconoscere la causa di servizio deve provare che la patologia è insorta per altre cause. E il ministero viene sistematicamente condannato a riconoscere la causa di servizio non essendo in grado di dimostrare alcunché di diverso dalla realtà.

Ma allora perché il ministero si ostina a negare verità e giustizia alle vittime?
Perché i responsabili, per le spese legali, utilizzano e sprecano i soldi dei contribuenti: il ministero si permette di sborsare copiosi interessi sui risarcimenti che è condannato a riconoscere ma che tarda anche anni a versare. Una costosa strategia da muro di gomma. Anche per questo il mio lavoro è incessante e necessita di una dedizione assoluta. Ad ogni ostacolo che si presenta bisogna essere in grado di trovare il modo di superarlo

Avvocato, cosa pensa di quelli come il generale Tricarico che ancora oggi negano o mettono in dubbio il nesso causale tra esposizione e patologia?
Penso che dovrebbero leggersi le sentenze dei tribunali italiani e smetterla di giocare a nascondino. La giurisprudenza che abbiamo creato in Italia prima o poi varcherà i confini del Paese e aiuterà anche le vittime civili.

 
Gregorio Piccin
pubblicato su Il Manifesto
del 26.03.2023

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